Augusta. Per ora sono soltanto tre. Ognuno di loro vuole fare il sindaco. Uno ci ha già provato, Marco Stella, 7 anni fa, andando al ballottaggio, contro Massimo Carrubba; uno, Marcello Guagliardo, è di professione cantante lirico e ha stupito tutti quando ha ufficializzato la candidatura perché nessuno sospettava che volesse scendere dal palcoscenico per scendere nell’agone politico; il terzo, Antonino Di Silvestro, l’agone politico lo ha già affrontato, seppur giovane trentenne, due anni fa, presentandosi con il movimento di Grillo alle elezioni regionali dell’ottobre 2012, raccogliendo millecinquecento voti e risultando il primo dei non eletti. In ordine alfabetico, Di Silvestro, con “ Il Popolo della rete”, Marcello Guagliardo, probabilmente
con una lista civica di cui non conosciamo la denominazione, Stella con “Cambia Augusta”. Altri, lo sappiamo, stanno calibrando tempi e modi per presentare la propria candidatura. Com’è ormai noto, in primavera verosimilmente gli elettori e le elettrici di Augusta saranno chiamati alle cabine per esprimere il voto a favore di un’amministrazione comunale che dovrebbe riportare la democrazia, attualmente sospesa, per via del commissariamento triadico deciso per legge, ma la scelta dei commissari è una scelta politica, e soprattutto per tentare di far dimenticare l’onta di una città offesa come “città mafiosa”, perché vuoi o non vuoi è questa la nomea, al di là degli equilibrismi verbali secondo cui il consiglio comunale è stato sciolto non perché già mafioso, ma per timore che lo diventasse. Sì, il timore, mentre ci sono Comuni che sono sede di cosche mafiose o altri in cui l’infezione è estesa a tutti i livelli, come si è capito dall’inchiesta recente su Roma Capitale. “Roma ladrona”, gridava qualcuno una volta, rivelatosi ladrone a sua volta, ma se l’avesse detto oggi ci avrebbe azzeccato, per dirla alla Antonio Di Pietro. Anche il sostantivo “ladroni” risuonò ad Augusta, all’epoca del pretore Condorelli, oltre un quarto di secolo fa, preceduto dall’aggettivo numerale “quaranta”, perché quaranta allora erano i consiglieri comunali, che, quindi, venivano bollati come i quaranta ladroni della fiaba di Alì Babà. All’epoca di Condorelli, la legge per lo scioglimento dei consigli per sospetta mafiosità era di là da venire e, comunque, occorre dirlo, i “ladroni” n on erano certamente tutti i consiglieri e non erano organizzati comunque come una cupola mafiosa. Erano “ladroni” allo stato brado perché avevano intuito, grazie a qualche brillante esempio, che ci si poteva arricchire facilmente. C’era l’assessore Tale che venne immediatamente chiamato l’assessore al venti per cento, ma non è stato mai in carcere, nonostante la voxpopuli: evidentemente, nessuno s’indignava allora perché i “soldi giravano” ed era ritenuto utile dare la mazzetta o pagare la tangente, che, probabilmente, veniva messa nel conto gonfiando le spese; per dovere di obiettività, occorre ricordare che fornitori degli enti pubblici, non solo quelli locali, erano costretti, spesso, ad agire oliando i politici (e/o anche i tecnici)perché prima d’essere pagati passavano anni, con il rischio di fallire. Recentemente, abbiamo saputo di suicidi di imprenditori, in genere piccoli e medi, costretti al fallimento, alla vergogna e alla miseria per colpa degli amministratori pubblici insolventi. Amministratori e funzionari che, volutamente, ritardavano il pagamento dovuto alle ditte vincitrici di regolari e onesti appalti per esigere il pizzo. Da dove nacque la vicenda di Tangentopoli che travolse, proprio grazie a Di Pietro,che poi fece fatto male a entrare in politica? (o meglio, ha fatto bene a sé stesso, al suo patrimonio). Nacque dalla cattura, in flagranza di reato, del socialista Mario Chiesa, “mariuolo”, come lo definì Bettino Craxi, uomo forte di quel tempo, capo indiscusso del partito socialista, decisionista ma non parolaio come l’attuale capo assoluto del PD, quel Matteo Renzi , che, come Craxi, è contemporaneamente capo partito e capo del governo – circostanza, questa, difficile da riscontrare negli altri partiti o, meglio nella Democrazia cristiana, il partito che più a lungo ha espresso il presidente del consiglio dei ministri. Mario Chiesa, amministratore per volere socialista, del Pio Albergo Trivulzio, ente pubblico milanese per i poveri e gli anziani,. fu colto con le mani nel sacco mentre intascava i soldi datigli dalla ditta per le pulizie dei locali ente. Un’ignominia! Di che ormai dobbiamo meravigliarci se, persino nell’ambito della Marina Militare, è stata scoperta una maxi tangente grazie a una maxi truffa di sette milioni di euro, compiuta ai danni dello Stato da ufficiali e sottufficiali di stanza in Augusta, in accordo coi “mafiosi” di Roma Capitale?
Giorgio Càsole