Alla spicciolata si stanno tutti costituendo gli imputati condannati in via definitiva dalla Corte di Cassazione. Alcuni hanno scelto di presentarsi negli uffici o del Commissariato di Avola o di quello di Noto, altri invece hanno preferito consegnarsi direttamente in carcere. Questa seconda strada l’ha percorsa Angelo Monaco, che, dopo essersi visto confermare la sentenza della Corte d’Assise di Appello di Catania con la quale era stato condannato a nove anni di reclusione, si è fatto accompagnare ad Augusta per poi suonare al campanello della Casa di Reclusione di Brucoli, dicendo all’agente di polizia penitenziaria che intendeva costituirsi. Non è stata una scelta dolorosa quella di Angelo Monaco, poichè dei nove anni inflittigli deve espiare meno di
un anno di carcere. Monaco, arrestato in Romania dove si era rifugiato per evitare di essere arrestato nell’ambito del blitz degli agenti del Commissariato di Avola, che il 1° luglio 2008, eseguirono le 61 ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di tutte le persone coinvolte nell’operazione antimafia e antidroga denominata “Nemesi”, ha scontato sette anni e cinque mesi. A questi bisoggna aggiungere i famosi 90 giorni di sconto all’anno, per cui gli restano da espiare o un anno o forse anche uno o due mesi in meno. Invece sono stati invitati a presentarsi negli uffici dei Commissariati di Avola e Noto Sebastiano Catania, Davide Russo, Giovanni Tuminello, Benedetto Cannata e Biagio Sesta. Nelle ultime 48 ore sono stati arrestati Sebastiano Cannata, da parte degli agenti del Commissariato di Avola, e Biagio Sesta, ad opera degli agenti del Commissariato di Noto. Il Catania è stato condannato a otto anni di reclusione e alla multa di 1.200 euro, mentre Biagio Sesta si è visto infliggere la pena di sei anni di reclusione. Avrebbero entrambi evitato di finire in carcere se fossero rimasti detenuti fino alla pronuncia della sentenza definitiva da parte della Corte di Cassazione. Invece entrambi sono usciti anzitempo dal carcere prima andando ai domiciliari e poi rimessi in libertà per decorrenza dei termini. Tuminello, Cannata e Russo, di fatto, hanno espiato una minima parte della condanna a due anni di reclusione a ciascuno inflitta dai giudici della Corte d’Assise di Siracusa. Così come Catania e Sesta, che però debbono espiare un residuo pena superiore a un anno di reclusione, anche Tuminello, Cannata e Russo, a conti fatti, dovrebbero rimanere in carcere per sei o sette mesi. Per la gran parte degli altri personaggi coinvolti nell’operazione antimafia e antidroga denominata “Nemesi”, non è tempo di fare conti nè previsioni sulla durata del loro soggiorno in carcere. Dai giorni in cui vennero arrestati sono rimasti in stato di detenzione, mentre alcuni di loro sono stati arrestati alcuni giorni prima della sentenza della Corte di Cassazione, come Corrado Ferlisi e il boss Michele Crapula per avere ripetutamente violato la sorveglianza speciale cui erano stati sottoposti. Ferlisi, condannato a vent’anni di reclusione, tramite il suo difensore di fiducia, avvocato Sebastiano Troia, sta per proporre ricorso straordinario, sempre alla Suprema Corte di Cassazione, contro la sentenza dei giudici della Seconda Sezione Penale per presunti errori nella applicazione di circostanze a lui favorevoli, per cui, in caso di accoglimento del suo ricorso, spera di vedersi ridurre la pena da espiare in carcere. A sua volta, il boss Michele Crapula, difeso dall’avvocato Alvise Troja, già comincia a fare la “stecca” per capire quanti anni ancora dovrà espiare in carcere. Le sue speranze di rimanerci molto meno di quanto dice la condanna a ventidue anni inflittagli dalla Corte d’Assise di Appello di Catania sono fondate poichè la Suprema Corte di Cassazione ha rinviato la sua posizione al vaglio di una Corte d’Assise di Appello, difformemente composta da quella che lo condannò, affinchè possa procedere alla rideterminazione della pena in quanto, in quella irrogatagli prima, i giudici lo avevano riconosciuto colpevole del reato di estorsione ai danni dell’amministratore delegato della società “Meridiana”, che gestiva ad Avola il servizio della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti. E sbagliarono, poichè già per il reato di estorsione alla Meridiana, Michele Crapula era stato già processato e condannato. Dovevano assolverlo per “ne bis in idem” e invece lo condannarono anche al processo “Nemesi”. Dell’errore si era accorto il procuratore generale che aveva chiesto di riderminare la pena da ventidue a ventuno anni di reclusione, senza però rinviare Michele Crapula di fronte ad una nuiova Corte d’Assise di Appello di Catania. Ma la Corte di Cassazione, che non ridetermina mai la pena, ha rinviato Michele Crapula di fronte ad una nuova Corte di Assise di Appello con l’invito di tenere conto che per il reato di estorsione alla “Meridiana” il boss era stato già processato.
Ritornando agli altri imputati dell’operazione “Nemesi” c’è da dire che soltanto tre o quattro debbono ancora presentarsi per pagare il loro debito con la società.