Siracusa. Dopo una lunga camera di consiglio il Giudice dell’udienza preliminare Francesco Alligo ha letto il dispositivo di sentenza nei confronti dell’augustano Antonio Lanzafame, 47 anni, in carcere dal mese di agosto dell’anno scorso, accusato di avere incendiato l’auto modello C3 di proprietà di Carmelo Ruta, anche lui residente ad Augusta. Il Gup Alligo ha riconosciuto colpevole il Lanzafame del reato a lui ascritto e gli ha inflitto la pena di cinque anni e due mesi di reclusione e la multa di 2.400 euro. A conclusione della requisitoria il Pubblico Ministero Silvia D’Armento aveva chiesto la condanna del Lanzafame alla pena di sette anni e sei mesi di reclusione. Il difensore dell’imputato, avvocato Salvatore Terrone, si era battuto per l’assoluzione del suo assistito in quanto, a suo dire, non c’era la prova che fosse stato lui a compiere l’attentato incendiario.
Antonio Lanzafame ha chiesto di essere giudicato con il rito abbreviato ritenendo che le accuse mosse nei suoi confronti dal proprietario della macchina non fosse sufficienti per farlo condannare. Come si suol dire il Lanzafame pensava che le dichiarazioni accusatorie del suo antagonista non fossero sufficienti per farlo ritenere l’autore dell’attentato incendiario. E, invece, le dichiarazioni del proprietario della macchina sono state ritenute attendibili e credibile sia dagli investigatori del Commissariato di P.S. di Augusta, sia dal Pubblico Ministero Silvia D’Armento e, adesso, anche dal Giudice dell’udienza preliminare Francesco Alligo. Nella denuncia presentata dalla persona offesa, Carmelo Ruta, ha scritto che l’unica persona con la quale aveva avuto un contenzioso era il signor Antonio Lanzafame. Una diatriba che si trascinava dal lontano 2017 quando il Ruta si era rivolto al Lanzafame per essere rifornito di quantitativi di cocaina, di cui era un accanito assuntore. Il Lanzafame ha mantenuto l’impegno di consegnare periodicamente i quantitativi di cocaina, viceversa non è stato di parola Carmelo Ruta in quanto non ha corrisposto il denaro al suo spacciatore. Il Lanzafame ha praticamente ha iniziato a pedinare ed è arrivato ad inseguire il debitore per ottenere il pagamento di 1800 euro per svariate forniture di dosi di cocaina. Il Ruta prometteva di saldargli il debito il prima possibile ma poi non riusciva a pagare per cui con il Lanzafame i rapporti sono divenuti conflittuali. Il pusher, oltre a inseguirlo in tutte le strade di Augusta, ha avuto uno scambio di messaggi via telefono con il Ruta e, ovviamente, di volta in volta, le parole usate dallo spacciatore non sempre erano cordiali ma erano pesantissime come pietre. E così si è arrivati alla notte tra il 26 e il 27 novembre 2020, quando l’auto di Carmelo Rota è stata divorata dalle fiamme. La Polizia non aveva trovato elementi utili per identificare l’autore dell’incendio doloso della C3 di proprietà di Carmelo Ruta. E’ stato quest’ultimo ad avere indirizzato le indagini della Polizia, presentando nei locali del Commissariato una denuncia nella quale scriveva di nutrire fortissimi sospetti sul conto di Antonio Lanzafame quale autore dell’attentato incendiario in quanto soltanto con lui aveva avuto dei contrasti connessi al mancato pagamento della somma di 1800 euro per fornitura di dosi di cocaina. Sulla base della denuncia presentata da Carmelo Ruta la Polizia ha avviato le opportune indagini per trovare i necessari riscontri per poter accusare senza ombra di dubbio alcuno Antonio Lanzafame. Per la Difesa del Lanzafame i riscontri non sono stati trovati ma per la Polizia di Stato e per il Pubblico Ministero le dichiarazioni accusatorie del Rota sono da ritenere attendibili e credibili e per il pusher che vantava un credito di 1800 euro si sono spalancate le porte del carcere in quanto unico sospettato dell’incendio della macchina di proprietà del debitore. Lanzafame, interrogato a seguito del suo arresto avvenuto nel mese di agosto 2021, ha respinto le accuse sostenendo di non essere stato lui ad avere appiccato il fuoco alla Citroen di proprietà di Carmelo Ruta. Ma la sua protesta d’innocenza non è stata mai presa in considerazione né dal Pubblico Ministero D’Armento, né dal Gip che firmò l’ordinanza di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere né, adesso, dal Gup Aligo che lo ha condannato alla pena di cinque anni e due mesi di reclusione e alla multa di 2.400 euro.