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Operazione Aretusa, conteggi sbagliati, Gianfranco Urso dovrà restare in carcere e la sentenza slitta al 28 settembre

CronacaOperazione Aretusa, conteggi sbagliati, Gianfranco Urso dovrà restare in carcere e la sentenza slitta al 28 settembre

Catania. I giudici della prima sezione penale della Corte d’Appello di Catania hanno annullato il provvedimento con il quale era stata disposta la scarcerazione di Gianfranco Urso, figlio del boss fondatore dell’omonimo clan, Agostino Urso. Il motivo della mancata scarcerazione di Gianfranco Urso è da ricercare nel periodo di latitanza dopo che gli agenti della Squadra Mobile non riuscirono ad arrestarlo per notificargli l’ordinanza di custodia in carcere emessa a suo carico e di tutti gli altri trafficanti e spacciatori coinvolti nell’operazione antidroga denominata “Aretusa”. Mentre gli altri correi furono tutti arrestati Gianfranco Urso fu tratto in arresto a distanza di due mesi dalla retata fatta dagli agenti della Squadra Mobile della Questura di Siracusa. Per cui per tutti gli altri imputati, ancora detenuti, i termini della misura cautelare scaduti lo scorso 4 luglio, e nei loro confronti la Corte d’Appello ha ordinato la loro scarcerazione. Per una svista a beneficiare del provvedimento di scarcerazione c’era anche Gianfranco Urso ma i giudici si sono accorti in tempo dell’errore e hanno fatto notificare d’urgenza al carcere di Terni il provvedimento con il quale hanno stabilito di fare permanere lo stato di imputato detenuto per il figlio dell’ex boss Agostino Urso, inteso ‘u prufissuri. Peraltro i giudici hanno chiarito che alla prima udienza del processo di secondo grado avevano emesso una ordinanza con la quale indicavano la scadenza dei termini per tutti gli imputati alla data del 4 luglio ad eccezione di Gianfranco Urso per il quale avevano disposto di sospendere la decorrenza dei termini fino alla data in cui sarebbe stata pronunciata la sentenza.
Oggi ha parlato l’avvocato Giambattista Rizza, che difende assieme all’avvocato Junio Celesti, Gianfranco Urso. L’anziano penalista ha chiesto alla Corte d’Appello di assolvere dal reato di associazione finalizzata al traffico degli stupefacenti Gianfranco Urso e di riconoscerlo colpevole del reato di detenzione e spaccio di droga e di condannarlo a una mite pena.
Per l’assenza forzata dell’avvocato Junio Celesti, ancora impossibilitato a camminare a causa della distorsione ad una caviglia, la Corte ha rinviato l’arringa del secondo difensore di Gianfranco Urso all’udienza del 28 settembre prossimo. Poi, salvo imprevisti, ci dovrebbero essere le repliche, la camera di consiglio e la lettura della sentenza.
Il provvedimento di scarcerazione è stato adottato nei confronti di Salvatore Catania, Massimiliano Midolo e di Luigi Urso, è stato eseguito dalla Polizia di Stato e i tre imputati, ancora sottoposti alla misura cautelare degli arresti domiciliari, hanno riacquistato la libertà. Al processo di secondo grado il sostituto procuratore generale Cantone, a conclusione della requisitoria, aveva chiesto alla Corte d’Appello di ridurre da 21 a 13 anni e quattro mesi di reclusione la pena a Gianfranco Urso e da 20 a 13 anni e quattro mesi la pena a Lorenzo Vasile, rispettivamente difesi il primo dagli avvocati Giambattista Rizza e Junio Celesti e il secondo dall’avvocato Sebastiano Troia. Il rappresentante della pubblica accusa ha chiesto di concedere le attenuanti generiche a Gianfranco Urso e a Lorenzo Vasile. Oltre a richiedere la riduzione di pena per i due principali imputati dell’operazione antidroga “Aretusa”, il magistrato della Procura Generale presso la Corte d’Appello di Catania ha chiesto 10 anni di reclusione per Luigi Urso (in primo grado la pena inflittagli fu di 16 anni e 4 mesi di reclusione; 9 anni di reclusione per Salvatore Catania (dai giudici siracusani venne condannato a 14 anni di reclusione), 7 anni e due mesi di reclusione per Massimiliano Midolo (in primo grado la condanna era stata di 11 anni di reclusione), quattro anni per Lorenzo Giarratana rispetto alla pena di 7 anni e due mesi inflittagli dal Tribunale di Siracusa. Per Lorenzo Giarratana è caduta l’accusa di associazione finalizzata al traffico degli stupefacenti. Luigi Urso, Salvatore Catania, Massimiliano Midolo e Lorenzo Giarratana sono tutti assistiti dall’avvocato Giorgio D’Angelo.
Per Angelica Midolo, condannata in primo grado a un anno di reclusione, il Pubblico Ministero ha chiesto alla Corte di infliggerle otto mesi di reclusione. La donna è assistita dall’avvocato Matilde Lipari.
Il magistrato della Procura Generale ha chiesto la conferma della condanna a 18 anni di reclusione per Francesco Calì, nonché la conferma della pena di due anni e tre mesi di reclusione inflitta in primo grado a Sebastiano Ricupero, difeso dall’avvocato Natale Perez; la conferma della pena di sette anni e due mesi di reclusione è stata chiesta anche per Maria Christian Terranova, difeso dall’avvocato Antonio Lo Iacono; così come è stata chiesta la conferma della pena di due anni e sei mesi di reclusione già inflitta ad Andrea Abdoushi, assistito dall’avvocato Sebastiano Troia. Infine, il sostituto procuratore generale Cantone ha chiesto alla Corte di condannare a due anni e due mesi Massimiliano Romano, rispetto ai due anni e quattro mesi di reclusione del processo di primo grado. Massimiliano Romano è difeso dall’avvocato Matilde Lipari. Va detto che Andrea Abdoushi da alcuni mesi era già ritornato in libertà per avere scontato la pena irrogatagli dai giudici del Tribunale di Siracusa.
Nell’operazione antidroga “Aretusa” erano coinvolti anche Umberto Montoneri, cognato di Gianfranco Urso, Francesco Fontana, impresario di pompe funebri amico del defunto pentito Luigi Cavarra; Concetto Anthony Magnano, ladro seriale d’appartamenti, che sono stati assolti dal Tribunale di Siracusa, nonostante la richiesta di condanna avanzata dal Pubblico Ministero Alessandro La Rosa, il quale, a conclusione della requisitoria, aveva chiesto 30 anni di reclusione per Gianfranco Urso; 22 anni di reclusione per Luigi Urso; 15 anni di carcere per Andrea Abdoush,; 19 anni di reclusione per Salvatore Catania; 11 anni di reclusione ciascuno per Agostino Urso e Gianfranco Bottaro; 12 anni di reclusione per Daniele Romeo; diciannove anni di carcere per Lorenzo Vasile; nove anni di reclusione per il pentito Franco Satornino grazie alla concessione della speciale attenuante che il codice prevede per coloro che collaborano con la giustizia; 15 anni di reclusione per Massimiliano Midolo; 12 anni di carcere per Maria Christian Terranova; undici anni di reclusione per Lorenzo Giarratana; tre anni e sei mesi per Francesco Fontana; tre anni di reclusione per Massimiliano Romano; due anni e sei mesi per Sebastiano Recupero; due anni per Angelica Midolo; cinque anni di reclusione ciascuno per Salvatore Quattrocchi e Umberto Montoneri; tre anni e sei mesi di reclusione per Concetto Anthony Magnano e sette anni di carcere per Salvatore Silone.
L’operazione antidroga denominata “Aretusa” è stata effettuata dalla Squadra Mobile di Siracusa con il coordinamento dei sostituti procuratori alla Dda di Catania, Alessandro La Rosa e Alessandro Sorrentino. Alle indagini, effettuate con i metodi tradizionali e con l’ausilio degli strumenti tecnici per intercettare le conversazioni ambientali e quelle telefoniche tra i trafficanti di droga, gli spacciatori e gli assuntori di droga, hanno fornito il loro prezioso contributo alcuni collaboratori di giustizia tra i quali Franco Satornino, dissociatosi del gruppo criminale che aveva costituito insieme all’ex pentito di mafia Lorenzo Vasile. Franco Satornino, nonostante il Collegio gli abbia riconosciuto la speciale attenuante prevista per chi collabora con la giustizia, si è visto infliggere la pena di nove anni di reclusione, esattamente come richiesto dal Pubblico Ministero La Rosa a conclusione della requisitoria. Il Collegio giudicante del processo di primo grado (presidente, Carla Frau; a latere, Antonella Coniglio e Liborio Mazziotta) è stato molto rigoroso soprattutto con l’ex pentito Lorenzo Vasile, infliggendogli vent’anni di reclusione in quanto, assieme al Satornino, promotore del gruppo da entrambi costituito per spacciare sostanze stupefacenti. A determinare la severa condanna contro il Vasile è stato in qualche modo lo stesso Satornino che, per farsi ritenere attendibile e credibile, ha attribuito tutte le responsabilità dello spaccio di droga all’ex “esattore di pizzo” del clan fondato da Agostino Urso, detto ‘u prufissuri, padre di Gianfranco Urso che, a sua volta, ha costituito una sua banda per far soldi con lo spaccio degli stupefacenti. I suoi difensori, avvocati Giambattista Rizza e Junio Celesti, sono riusciti nell’ardua impresa di farlo assolvere dall’accusa di essere coinvolto nell’incendio e nell’estorsione ai danni di Massimiliano Romano, ma nulla hanno potuto fare per farlo ritenere un semplice spacciatore di droga. Nel caso di Gianfranco Urso, la tesi della pubblica accusa è stata privilegiata dal Tribunale di Siracusa rispetto a quella prospettata dall’imputato, che ha reso dichiarazioni spontanee collegandosi in videoconferenza dal carcere di Terni, nel corso delle quali ha detto di avere intrapreso l’attività di spaccio di sostanze stupefacenti per guadagnare i soldi necessari al suo sostentamento e a quello della sua famiglia in quanto era disoccupato. Seppure condannato a 21 anni di reclusione, Gianfranco Urso si vide sostituire la misura della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari. Il provvedimento del Tribunale di Siracusa è stato poi annullato dal Tribunale del Riesame di Catania, che, accogliendo l’appello del Pubblico Ministero Alessandro La Rosa, ordinò alle Polizia di Stato di riportare in carcere Gianfranco Urso.

(nella foto Gianfranco Urso)