Catania. E’ durata due ore la camera di consiglio del Tribunale del Riesame, presidente Larata, per consentire difensori di Alessio Attanasio, avvocati Maria Teresa Pintus e Licinio La Terra Albanelli di spiegare i motivi che li hanno indotto a chiedere l’immediata scarcerazione del loro assistito. In collegamento video, da una sala del carcere di Bicocca, vi era proprio Alessio Attanasio, che, a conclusione degli interventi oratori dei suoi difensori, ha chiesto di rendere dichiarazioni spontanee con le quali ha condiviso, da neo laureato di Giurisprudenza, in diritto, le richieste avanzate dagli avvocati Licinio La Terra Albanelli e Maria Teresa Pintus, i quali, nel ritenere insussistente la pericolosità sociale addotta dal Gip Chiara Di Dio Datola per applicare la misura cautelare della custodia in carcere nonostante la condanna dell’imputato siracusano a 30 anni di reclusione fosse stata emessa il 31 gennaio scorso a conclusione del processo di primo grado, hanno chiesto al Riesame l’immediata scarcerazione del loro cliente, sostenendo: “Piaccia o no bisogna convincersi che il dottor Attanasio ha cambiato vita”. Una frecciata rivolta alla Procura Distrettuale Antimafia di Catania che quella misura cautelare ha chiesto immediatamente dopo avere saputo della scarcerazione di Attanasio, per decisione della Corte d’Appello di Torino che ha concesso al siracusano il cumulo delle condanne riportate e la continuazione. Prima di arrivare alle richieste finali gli avvocati Licinio La Terra Albanelli e Maria Teresa Pintus hanno ripercorso la vita carceraria di Attanasio dal giorno dell’arresto, 31 gennaio 2002 in un albergo della Sila, in Calabria, sino alla data della sua scarcerazione il 7 luglio 2021 dalla Casa Circondariale di Nuoro, sottolineando che appena è stato rinchiuso in carcere, dopo l’arresto subito nella località climatica calabrese, immediatamente gli è stato applicato il 41 bis, e da allora ininterrottamente, per ventuno anni consecutivi, è stato sottoposto al carcere duro. Nonostante le condizioni di vita disagiate e di sofferenza fisica, Attanasio è riuscito a trasformare il 41 bis in una opportunità di riscatto tanto è vero che, studiando e leggendo riviste specializzate non solo italiane ma anche stampate in alcuni Paesi europei, ha conseguito due lauree di cui la prima in Scienza delle Comunicazioni e la seconda in Giurisprudenza, quest’ultima con il massimo voto: 110 e lode. Ventuno anni trascorsi al 41 bis senza mai vedere il sole che sorge e che tramonta, senza avere la possibilità di incontrare un parente perché la norma non lo consente nel timore che i detenuti sottoposti al carcere duro possano inviare messaggi e ordini agli associati che sono in libertà, senza che i diritti costituzionali vengano rispettati dagli interlocutori che si incontrano negli istituti di pena e dagli addetti alla vigilanza, a disposizione di chi vuole sopravvivere per non impazzire esistono due strade: studiare o lavorare. Coloro che non vogliono rendersi conto lo Stato ha vinto la guerra contro il terrorismo e le mafie sono destinati a soffrire e a subire umiliazioni. Attanasio se ha sofferto e ha subito delle umiliazioni nei ventuno anni trascorsi al 41 bis è stato per una sua libera scelta, quella di battersi contro direttori di istituti di pena, comandanti di agenti penitenziari e poliziotti che si rifiutavano di eseguire decreti e provvedimenti di Magistrati di Sorveglianza ai quali lui inviava i reclami che scriveva di proprio pugno, nei quali chiedeva che non fossero calpestati i suoi diritti, che la Costituzione riconosce anche ai detenuti condannati per mafia o per reati gravissimi. Attanasio era ben consapevole che battendo contro le inferriate della cella sarebbe stato colpito da un provvedimento disciplinare. Ma se ha attuato quella forma di protesta l’ha fatto per rivendicare un diritto che gli era stato negato: come quello di ottenere un pc, pagato da lui e non dall’Amministrazione penitenziaria, per motivi di studio. Oppure, ricevere una cartolina con la sola parola “Ciao” da un detenuto siracusano e da lui ricambiata con l’invio di una cartolina ad un detenuto che non vedeva da 21 anni. Gliele hanno sequestrate le cartoline perchè, secondo gli addetti alla censura, quella parola di saluto “Ciao” poteva contenere un messaggio criptato e lui ha protestato energicamente e, a volte, esagerando, ha finito col farsi denunciare alla Procura per oltraggio e minacce a pubblico ufficiale.
Gli avvocati Licinio La Terra Albanelli e Maria Teresa Pintus hanno chiesto al Riesame di scarcerare Alessio Attanasio perché non sussiste la pericolosità sociale paventata dai Pubblici Ministeri Alessandro La Rosa e Alessandro Sorrentino, e condivisa dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Catania, il quale, però, non ha tenuto conto che nel processo in cui rispondeva dell’omicidio volontario di Giuseppe Romano, avvenuto il 17 gennaio 2001 al Viale Elorina, a Siracusa, l’imputato era a piede libero e che la sentenza di condanna alla pena di 30 anni di reclusione, è stata emessa il 31 gennaio scorso. I due difensori hanno chiesto una subordinata: hanno, infatti, auspicato la concessione degli arresti domiciliari anche con l’applicazione del braccialetto elettronico da espiare nello studio legale dell’avvocato Pintus, a Sassari, in Sardegna. L’avvocato Pintus, che ha ripercorso tutte le battaglie processuali intraprese dall’Attanasio davanti al Magistrato o al Tribunale di Sorveglianza dal nord al centro della penisola, ha confermato la sua volontà di dare un lavoro al detenuto siracusano assumendolo come suo assistente di studio legale, nel comune di Sassari. Oltre ad essere lo studio legale la sua nuova dimora Attanasio, trasferendosi a Sassari, può usufruire di un posto in cui studiare. E’ sua intenzione di iscriversi al corso magistrale della facoltà di Giurisprudenza dell’Ateneo della Sardegna.
I giudici del Riesame di Catania si sono riservati e renderanno nota la loro decisione o entro la fine della settimana o nei primi giorni del mese di agosto.
Alessio Attanasio, 52 anni, si trova attualmente ristretto nel carcere di Bicocca, a Catania.
A riconoscerlo colpevole del reato di omicidio volontario ai danni dell’incolpevole Pippo Romano, ucciso da due killer alla guida di due motocross che lo scambiarono per l’appaltatore edile Salvatore Beretta Saporoso, vero bersaglio dei sicari, è stato il Gup Simona Ragazzi, che ha ritenuto credibili le chiamate in reità dei pentiti Salvatore Lombardo, detto Pulisinu, Giuseppe Curcio, ex fondatore del clan della Borgata, e di Francesco Capodieci, ex boss della piazza di spaccio del Bronx. Nessuno dei tre è stato testimone oculare dell’agguato mortale di Via Elorina, ma tutti sono stati concordi nell’indicare Alessio Attanasio come uno dei due killer.
La motivazione della sentenza pronunciata dal Gup Simona Ragazzi è stata depositata il 30 giugno scorso. Attanasio e i suoi difensori, avvocati Licinio La Terra Albanelli e Maria Teresa Pintus, hanno impugnato la sentenza ed entro il tempo previsto dalla legge, presenteranno l’atto alla cancelleria della Corte d’Assise di Appello di Catania.
(nella foto Alessio Attanasio)