Siracusa. I fratelli Giuseppe e Giovanni Merlino, hanno lasciato la cella di sicurezza dell’ospedale Umberto I e sono stati riportati nella Casa Circondariale di Cavadonna. Per i medici del nosocomio i due fratelli Merlino non si rendeva più necessaria l’assistenza medica ma avrebbero potuto proseguire la terapia in carcere.
I due fratelli sono stati ricoverati in ospedale in seguito all’aggressione patita da parte di un gruppo di detenuti, alcuni dei quali armati di forchette e punteruoli. Le armi, realizzate artigianalmente all’interno della sezione detenuti comuni, sono state utilizzate dagli aggressori per colpire i fratelli Merlino, durante l’ora di socializzazione.
Sull’aggressione e sulle lesioni procurate alle due vittime è in corso un’indagine del nucleo investigativo della Polizia Penitenziaria tesa a identificare gli aggressori che, secondo le prime indiscrezioni, dovrebbero essere tutti detenuti provenienti dal capoluogo e della provincia di Catania.
L’aggressione avvenuta all’interno della Casa Circondariale di Cavadonna sembra la fotocopia di un’altra spedizione punitiva verificata quasi quarant’anni fa all’interno della “Casa cu n’occhiu”, il vecchio carcere di Via Vittorio Veneto di Siracusa. Anche in quella vicenda la vittima fu un detenuto siracusano e gli aggressori un decina di detenuti catanesi. I quali cercarono in tutti i modi di fare volare dal ballatoio il pregiudicato siracusano Sebastiano Calanzone che, per evitare di sfracellarsi sul pavimento al piano terra , si era aggrappato con entrambe le mani all’inferriata del ballatoio e nonostante gli aggressori avessero iniziato a dargli dei violenti calci alle mani, Calanzone non mollò la presa e fu tratto in salvo dai “secondini”, come allora venivano chiamati gli agenti penitenziari. Sebastiano Calanzone aveva entrambe e mani rotte e sanguinanti per i calcioni che gli avevano inferto i catanesi. A processo finirono undici catanesi accusati dalla Procura di tentato omicidio. Il processo si svolse davanti alla Corte d’Assise di Siracusa e saltò fuori che Sebastiano Calanzone, un anno pima dell’aggressione, si era responsabile di una rapina ai danni di una prostituta dopo essersi appartato con lei per consumare il rapporto sessuale. Improvvisamente Calanzone estraeva dalla tasca un coltello e, puntandolo contro la vittima, si fece consegnare tutti i soldi che quella teneva nella borsa. Ottenuto il denaro Calanzone si rese uccel di bosco e si recò a Catania dove aveva ottenuto ospitalità dall’allora esponente della criminalità organizzata Giovanni Piacenti, capo della famiglia dei Ceusi. L’ospite però risultò indegno dell’accoglienza e della protezione del boss catanese che si vide costretto a cacciarlo dalla sua casa dopo aver scoperto che Calanzone aveva insidiato sua figlia. Rimasto senza protezione Calanzone ritornava a Siracusa dove veniva arrestato dalla Squadra Mobile per la rapina alla prostituta. Al processo i catanesi si protestarono tutti innocenti sostenendo che si erano prodigati nel tentativo di evitare che il detenuto siracusano attuasse il suo suo disegno di togliersi la vita lanciandosi dal ballatoio.
A distanza di alcun anni, Sebastiano Calanzone ritornava in libertà dopo aver espiato la pena di tre anni di reclusione per la rapina ai danni della prostituta. E mentre si trovava a bordo di una macchina parcheggiata in Via Necropoli Grotticelle un killer gli esplodeva contro un colpo di pistola, dopo aver puntato la canna alla tempia dl Calanzone. Il proiettile entrava e fuoriusciva dalla parte opposta della testa del Calanzone e si conficcava nel capo di Vincenzo Bonafede, seduto sul sedile passeggero accanto a quello del bersaglio del sicario. Sia Calanzone che Bonafede morivano sul colpo, come poi fu accertato dal medico legale che effettuò l’autopsia sui due cadaveri. Il duplice omicidio è rimasto impunito, gli inquirenti non sono mai riusciti a identificare il killer che, sparando una sola pallottola, aveva ucciso due persone.
Ritornando all’aggressione dei fratelli Merlino Giovanni è detenuto perchè accusato di tentato omicidio ai danni di Salvatore Di Fede, mentre suo fratello Giuseppe sta espiando un cumulo di condanne per reati contro il patrimonio.
(nella foto Giovanni Merlino)