Siracusa. E’ stato sufficiente aumentare di una unità la scorta armata per consentire a Giancarlo De Benedictis di uscire dalla gabbia di vetro e di sedersi accanto al suo difensore di fiducia, avvocato Sebastiano Troia, per sentire in maniera chiara le parole pronunciate dai testimoni citati dai Pubblici Ministeri Sabrina Gambino e Maria Chiara Valori. Grazie al bel gesto della Polizia penitenziaria, Giancarlo De Benedictis è stato autorizzato a sedersi accanto al suo difensore, avvocato Sebastiano Troia e ha potuto sentire da una postazione privilegiata le deposizioni in videoconferenza dei pentiti Mattia Greco e Francesco Satornino, citati dai Pubblici Ministeri come persone informate sui fatti che attengono alla morte del ventisettenne Angelo De Simone e all’eventuale ruolo svolto da Giancarlo De Benedictis.
Mattia Greco, dopo aver raccontato il motivo che lo ha indotto a collaborare con la giustizia, ha riferito di avere appreso da Salvatore Grancagnolo, affiliato come lui nell’organizzazione della piazza di spaccio della Tonnara e arrestato dai Carabinieri nel 2018 nel corso dello stesso blitz, che ad uccidere Angelo De Simone, sarebbero stati Luigi Cavarra e Giancarlo De Benedictis, noto negli ambienti dello spaccio con il soprannome di “Carlo a’ scecca”. Il pentito, che si è collegato in video con l’aula della Corte d’Assise di Siracusa, ha risposto alle domande che gli sono state poste da un sito riservato. E riguardo al movente che avrebbe determinato la spedizione punitiva, ha dichiarato che sempre dal Grancagnolo ha appreso che “Cavarra e De Beneditis hanno ammazzato Angelo De Simone per motivi di droga e per una donna che era al tempo stesso legata sentimentalmente sia all’imputato che al morto ammazzato”. Mattia Greco ha riferito, altresì, che conosceva Angelo De Simone perché abitava nella stessa zona in cui risiedeva lui ma di non avere mai avuto rapporti confidenziali con lui. “Tutto quello che so della sua morte me l’ha detto Salvatore Grancagnolo durante il periodo di detenzione in carcere dopo che entrambi siamo stati arrestati nell’ambito dell’operazione Tonnara”.
Per la cronaca Luigi Cavarra non è alla sbarra perché già defunto. Dopo aver militato nel clan mafioso Bottaro-Attanasio, il Cavarra ha iniziato a collaborare con la giustizia. Trasferito in una località segreta insieme alla compagna e alla figlioletta nata lo stesso giorno in cui Cavarra venne arrestato dai Carabinieri per spaccio di oltre due chili di cocaina, l’ex affiliato al clan Bottaro-Attanasio si ammalò e fu ricoverato in un ospedale dove poi è morto ucciso da un tumore maligno.
Dopo la deposizione di Mattia Greco da un altro sito riservato si è collegato in videoconferenza il pentito Francesco Satornino, divenuto collaboratore di giustizia durante la celebrazione del processo scaturito dall’operazione antidroga denominata dalla Squadra Mobile “Aretusa”. Satornino era accusato di associazione finalizzata al traffico degli stupefacenti avendo costituito un gruppo di spacciatori di cocaina assieme a Lorenzo Vasile, con il quale era stato tratto in arresto alcuni mesi prima del blitz “Aretusa” per trasporto da Catania a Siracusa di alcuni chili di marijuana. Il bel gesto dell’ex esattore di pizzo Lorenzo Vasile che si accollò tutta la responsabilità consentiva a Francesco Satornino di racquistare la libertà e di essere poi assolto al processo svoltosi con rito abbreviato. Sia Vasile, condannato a quattro anni e due mesi, che Francesco Satornino riuscivano a raggirare i giudici ma non gli agenti della Squadra Mobile che chiesero il loro arresto per associazione finalizzata al traffico degli stupefacenti. Satornino ha giocato la carta di scaricare sul Vasile la responsabilità ma questa volta non gli è andata bene perché il suo ex socio Vasile non lo ha assecondato. Dal Tribunale di Siracusa, presidente Carla Frau, Vasile è stato condannato a 20 anni carcere, mentre Satornino si è visto infliggere nove anni di reclusione grazie alla sua decisione di collaborare con la giustizia. In appello Vasile si è visto ridurre la condanna a 13 anni e mezzo, mentre a Satornino la pena è stata ridotta a sette anni.
Al processo contro Giancarlo De Benedictis il pentito Satornino ha riferito che a parlargli del coinvolgimento di “Carlo a’ scecca” nella vicenda relativa al ritrovamento del cadavere di Angelo De Simone sarebbe stato Francesco Capodieci nel corso di una conversazione durante il soggiorno nella Casa Circondariale di Cavadonna. Che cosa gli ha detto Capodieci? Praticamente quasi nulla. Gli ha riferito di nutrire forti dubbi sull’ipotesi del suicidio per impiccagione. “Cesco Capodieci non credeva che De Simone si fosse impiccato perché il ragazzo è stato trovato seduto sul muretto pur avendo il cappio attorno al collo. Secondo Capodieci la morte del De Simone era di natura dolosa, ma non mi ha mai detto se sospettava di qualcuno. Il Capodieci mi ha parlato di una violenta lite tra il De Simone e “Carlo a scecca” , verificatasi nell’area di un distributore di benzina, in quanto quest’ultimo aveva scoperto che il ragazzo aveva insidiato la sua convivente, ma Capodieci non mi ha detto di sospettare del De Benedictis come autore della tragica fine del De Simone. Anzi mi ha detto che assieme si sono recati nell’abitazione del giovane per sapere dai suoi genitori la dinamica del ritrovamento del corpo del figlio impiccato nel cortile della loro casa”.
Concluse le audizioni dei due pentiti la Corte d’Assise (presidente, Tiziana Carrubba; a latere, Carla Frau) ha rinviato il processo all’udienza del 20 giugno per sentire due verbalizzanti .
Il cadavere di Angelo De Simone fu trovato dalla propria madre: il corpo era appeso a un gancio e attorno al collo aveva stretto una cordicella, verosimilmente i lacci delle scarpe; i piedi dell’impiccato, poggiavano sul muretto. Nessuno avrebbe scommesso un euro sull’ipotesi dell’impiccagione. Eppure sia gli agenti della Polizia di Stato che il medico legale Cascio effettuarono il sopralluogo nel cortile annesso alla casa della famiglia De Simone e gli accertamenti medico-legali e trassero la convinzione dell’ipotesi del suicidio, traendo in errore il Pubblico Ministero Davide Lucignani, titolare delle indagini sulla morte d Angelo De Simone, Il magistrato, oggi in servizio alla Procura della Repubblica di Asti, in Piemonte, per effetto di quelle due concordi relazioni, inviò al Gip richiesta di archiviazione del procedimento a carico di ignoti per la morte di Angelo De Simone. Ma la mamma del ventisettenne, che lo aveva lasciato a casa sorridente, non accettò la richiesta del Pubblico Ministero e diede incarico all’avvocato David Buscemi di inviare al Gip del Tribunale di Siracusa istanza di opposizione all’archiviazione. Il giovane penalista elencò nella istanza di opposizione una serie di indizi di segno opposto all’ipotesi del suicidio, la cui portata probatoria indusse il Gip Salvatore Palmeri a rigettare la richiesta di archiviazione. Il fascicolo venne restituito alla Procura e affidato al Pubblico Ministero Vincenzo Nitti, subentrato al collega Davide Lucignani trasferito dal Csm alla Procura di Asti. Il nuovo titolare delle indagini per accertare la causa della morte di Angelo De Simone convocò sia il medico legale Orazio Cascio sia gli investigatori della Squadra Mobile che avevano effettuato il sopralluogo nel cortile in cui era stato rinvenuto impiccato il 27enne, chiedendo se confermavano l’ipotesi del suicidio o se, alla luce degli indizi evidenziati nella richiesta di opposizione all’archiviazione del caso, intendevano modificare la loro valutazione. Medico legale e agenti della Squadra Mobile non cambiarono idea e confermarono che Angelo De Simone si era impiccato. Per cui il Pubblico Ministero Nitti si determinò a richiedere al Gip di archiviare la morte di Angelo De Simone come suicidio. Per la seconda volta l’avvocato David Buscemi presentò opposizione alla richiesta di archiviazione e il Gip Salvatore Palmeri ordinò delle nuove indagini che, in seguito al trasferimento del Pubblico Ministero Nitti, vennero coordinate dal sostituto procuratore Gaetano Bono, il quale ordinò la riesumazione della salma e sottoporla a una seconda autopsia e alla Tac al fine di verificare la presenza ai testicoli di traumi provocati da colpi di bastone o da un corpo contundente. L’accertamento diede i risultati sperati e nel registro degli indagati veniva scritto il nome e il cognome di Giancarlo De Benedictis, detto Carlo a’ scecca”. Incriminato del reato di omicidio volontario aggravato, De Benedictis è stato rinviato a giudizio dal Gup Carmen Scapellato come chiesto dal Pubblico Ministero Gaetano Bono. Anche lui però, come i suoi predecessori, è uscito di scena prima dell’inizio del processo in quanto, su sua richiesta, trasferito dal Csm alla Procura della Repubblica di Caltanissetta.
(nelle foto in alto da sx Giancarlo De Benedictis e Mattia Greco; in basso da Francesco Satornino e Angelo De Simone)