Sortino. Paolo Pandolfo non ci sta. Esiliato a Sortino, paese d’origine, Pandolfo non ci sta a subire in silenzio una condanna che ritiene profondamente ingiusta, non improntata al sentimento di misericordia, viziata da ipocrisia e doppiopesismo. La condanna è quella della riduzione allo stato laicale che esclude Pandolfo dal clero cattolico: una condanna straziante per sé e per i suoi anziani genitori, che, come lui, vivono in un piccolo centro qual è Sortino. Ancora una volta, come in precedenza, sempre sui social, Pandolfo ha pubblicato una sua esternazione, sotto forma di lettera aperta “al signor vescovo Francesco”, dal titolo “Il dolore che uccide”. Pandolfo, frate francescano prima di diventare prete diocesano, ammette, ancora una volta, i suoi personali errori, a causa dei quali è in cura da due professionisti, Malara e Parisi, ma evidenzia anche il contrasto stridente fra la sua sorte e quella di altri sacerdoti, che, pur nell’occhio del ciclone per “scandali sessuali”, non sono stati ridotti allo stato laicale. Alla fine della “lettera aperta”, Pandolfo assicura che si recherà a San Pietro e s’incatenerà per avere giustizia da un altro Francesco, papa Bergoglio, di cui ricorda il mònito “La misericordia è il biglietto da visita della Chiesa nel mondo”.
Paolo Pandolfo si firma “sacerdote in eterno”, affermando il vero, giacché l’ordinazione presbiterale è considerata dalla Chiesa un vero e proprio sacramento. Essendo un sacramento, il presbitero rimane sacerdos in aeternum e, come tale, in casi estremi, può anche, per esempio, battezzare. Sacerdote per sempre, per l’ordinazione sacramentale, ma ex prete, ormai, per la Chiesa cattolica.
Giorgio Càsole
(nella foto l’Arcivescovo di Siracusa mons. Francesco Lomanto)