Al posto della dottoressa Alessandra Gigli, il ruolo di giudice a latere è stato assegnato alla dottoressa Antonella Coniglio. Sarà lei il secondo giudice togato della Corte d’Assise di Siracusa, presieduta dalla dottoressa Maria Concetta Rita Spanto. Con la composizione del Collegio giudicante, è iniziato il processo che vede sul banco degli imputati Pasqualino Mazzarella, accusato di omicidio volontario e occultamento di cadavere di Liberante Romano, l’esponente del clan “Bottaro-Attanasio” ucciso il 25 maggio 2002 dai suoi stessi compagni del gruppo mafioso. L’esposizione dei fatti è stata fatta dal sostituto procuratore Andrea Ursino, della Direzione distrettuale antimafia di Catania, che sperava di vedere sul banco degli imputati non
solo Pasqualino Mazzarella, ma anche Vito Fiorino, indicati entrambi dal pentito Salvatore Lombardo, detto Pulisinu, quali complici di Salvatore Calabrò e Giuseppe Calabrese, già condannati in via definitiva alla pena dell’ergastolo perchè riconosciuti colpevoli dell’omicidio di Liberante Romano. Alla sbarra, però, c’è soltanto Pasqualino Mazzarella. Il suo amico Vito Fiorino è in libertà e non è nemmeno detto che verrà processato. L’ordinanza redatta dal Gip del Tribunale di Siracusa, Patricia Di Marco, sbarra la strada al Pubblico Ministero Ursino, perchè, secondo il giudice, non sussistono i gravi indizi di reità a carico di Vito Fiorino. E allora è da chiedersi come mai se non sussistono per Vito Fiorino, sono invece sussistenti i gravi indizi di reità per Pasqualino Mazzarella? Eppure le cosiddette prove di reità sono rappresentate dalle dichiarazioni rese dal pentito Lombardo, che, pur non essendo stato testimone oculare dell’omicidio, ha riferito il racconto che gli avrebbe fatto Pasqualino Mazzarella. Il collaboratore di giustizia ha raccontato che il 25 maggio 2002, Libero Romano, dopo aver pranzato, chiese alla moglie le chiavi della macchina, una Ford Focus, e si è diretto a Fontane Bianche. All’altezza del bar Agip di Corso Gelone, ha incontrato Francesco Toscano, e, dopo avergli chiesto di fargli compagnia, si è recato nella zona balneare, parcheggiando quindi l’auto nelle vicinanze della villa di Roberto Crispino. Romano e Toscano furono accolti da Calabrò, Calabrese, Fiorino e Mazzarella e invitati a sedere attorno al tavolo del salone. Calabrò dalla tasca prelevò una mazzetta di banconote, consegnandola a Liberante Romano, che si era recato all’appuntamento per ricevere quel denaro in quanto era sua intenzione darsi alla macchia in quanto non aveva alcuna intenzione di farsi arrestare per espiare la condanna a sette anni di reclusione che gli era stata inflitta dalla Corte d’Assise di Siracusa, poi confermata in appello e in attesa di conferma dalla Corte di Cassazione. Mentre lui contava il denaro, Calabrese, con la scusa di dover andare al bagno per fare la pipì, si recava in cucina e dalla lavapiatti prelevava una pistola. Poi, dopo aver messo i guanti di lattice alle mani, ritornava nel salone e postosi alle spalle di Liberante Romano gli esplodeva alla testa due colpi di pistola. Dopo l’omicidio, Calabrò e Calabrese lasciavano la villa, e forse in loro compagnia anche il Toscano già più rinfrancato visto che temeva di fare la stessa fine di Liberante Romano, mentre rimanevano Mazzarella e Fiorino, i quali si sarebbero occupati di pulire tavolo e muri dalle macchie di sangue, di avvolgere in un tappeto il corpo di Liberante Romano e di adagiarlo nel cofano della Ford Focus. Poi si recavano nella zona dove fu firmato l’armistizio con gli Alleati e abbandonarono l’auto, gettando in mare le chiavi. L’indomani, domenica 26 maggio, i due ritornavano in quella zona balneare, mandarono in frantumi il vetro di uno sportello, versarono nell’abitacolo della benzina e accesero il fuoco. L’auto completamente divorata dalle fiamme fu rinvenuta il lunedì mattina 27 maggio da un pastore che portava il gregge al pascolo. Così i Carabinieri rinvenivano il cadavere di Liberante Romano, completamente carbonizzato. Le dichiarazioni di Salvatore Lombardo sono state confermate, ma con alcuni distinguo, da Attilio Pandolfino, anche lui ex componente del clan “Bottaro-Attanasio”, passato a collaborare con la giustizia. Il prossimo 25 marzo parleranno i testimoni dell’accusa e si capirà meglio se gli indizi di reità a carico di Pasqualino Mazzarella sono sussistenti oppure no. Mazzarella è difeso dagli avvocati Antonio Lo Iacono e Giorgio D’Angelo.